«Non facciamoci riconoscere», diceva il grande Totò.
Alludeva al fatto di non fare trasparire una certa italianità cafona, cattiva.
Difatti uno dei vizi peggiori degli italiani è quello di affossare del tutto chi già sta con un piede nella fossa.
Che la Calcio Lecco 1912 abbia problemi, dopo un fallimento, è palese e sotto gli occhi di tutti, addetti ai lavori, Lega, media.
Ma in una realtà già difficile di suo per via di pastoie amministrative, di giocatori lasciati andare e di altri mai in arrivo, dove tenere in piedi quello che rimane di una società gloriosa (105 anni di storia, 3 campionati in A, 11 in B ) è impresa ardua, ci pare normale che non possa non esserci rispetto.
Basta però osservare alcune tra le ultime direzioni arbitrali che hanno riguardato i blucelesti e se ne ricava invece, oltre che ingiustizia, una totale mancanza di rispetto.
Sono anni che la società Calcio Lecco non valea nulla negli uffici che contano della Lega.
Certo questo è la somma di anni di dirigenti evidentemente incapaci per non dire di peggio. Quello che però stona è il modo arrogante e anche un po’ sadico con cui le giacchette nere che arbitrano il Lecco paiono trarre piacere dal colpirlo ancora di più, quasi si volesse “finirlo”.
Sparare sulla Croce rossa. Noi italiani siamo bravissimi in questo.
Lasciatecelo dire, non è proprio una bella cosa. Ci fa un pochino schifo. Però i “nostri eroi” – Bertolini, i giocatori, Mario Motta – devono sapere che non avranno occhi di riguardo da parte di questi arbitrucci generazione 2.0.
Pare di intravedere un sottile piacere nel colpirci, nel multarci, nel fare del male al Lecco.
Dovremo batterci anche con questo. Non c’è dubbio. Facciamocene una ragione.
Quello che però non deve mai mancare è una sana voglia, accompagnata da una tignosa cattiveria sportiva, che ribalti l’ingiusta sentenza che al momento pare già scritta.
Diversamente, se non sapremo fare questo, prepariamoci a vedere, oltre a iene e corvi, anche canarini che banchettano sul “cadavere illustre” di una squadra amatissima.
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