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Lega Pro: riforma sì, ma non è questa la strada

La proposta del presidente della Lega Pro è stata bocciata da 24 club su 59 aventi diritto: la categoria è quasi spaccata, ma tutti chiedono a gran voce una riforma che parta dall’alto

Il Lecco esulta BONACINA/LCN SPORT
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Alla Lega Pro serve qualcosa di nuovo. Nuova linfa, sicuramente, per non far collassare su sé stesso un sistema che campa troppo sulle spalle dei fratelli maggiori e deve produrre da sé ricavi accettabili. E, come avevamo già detto, non sarebbe stato un format così avveniristico e cervellotico a cambiare la solfa: lo scopo era quello di aumentare i ricavi dai diritti tv e dal botteghino, ma quel tipo di proposta era difficile già da comprendere per gli addetti ai lavori, figurarsi da spiegare al consumatore finale del prodotto calcio. Sul concepimento non mettiamo bocca, ma sicuramente la novità è stata venduta male: una riunione tra i club, una conferenza all’Università di Palermo, qualche dichiarazione qua e là contrapposta a quelle dai toni non entusiastici di Gravina, l’approdo sul tavolo dell’assemblea andata in scena giovedì pomeriggio. Siamo sinceri: ci saremmo stupiti di un esito diverso rispetto a quella della bocciatura arrivata da parte dei 24 club. Le società sono state le uniche a coinvolgere i tifosi o, per meglio dire, a raccogliere i sentiment delle piazze: la gran parte delle persone ha detto “no” al progetto di Ghirelli e sono state soprattutto le big a spingere in quella direzione anche vista la cancellazione della promozione diretta.

Ciò non toglie che una riforma radicale serva come il pane. Ribadiamo il pensiero di qualche settimana fa: a Lecco come altrove, si fa fatica a fare calcio professionistico: senza girarci troppo attorno, chi ha degli squadroni se lo può permettere solo ed esclusivamente grazie a proprietà munifiche. Mecenatismo in chiave moderna, sotto un certo profilo, agli altri è lasciata la capacità di spendere “poco” e bene. Intorno c’è un sistema che non funziona: la Serie A si fa più o meno i fatti propri, la Serie B sta giusto giusto in linea di galleggiamento, la Serie D sta in piedi grazie allo smisurato numero di praticanti e al notevole peso politico derivato da questo fattore, la Serie C si dimena e chiede da anni l’introduzione del semiprofessionismo, negata anche dalle continue tensioni – a star bassi – a livello governativo. E quindi ecco nascere la proposta relativa al nuovo format, a nostro giudizio molto poco affine a un campionato che prevede sessanta compagini professionistiche.

Difficile da capire e da raccontare per gli addetti ai lavori, figuratevi per l’utente finale – ovvero il tifoso – che dall’oggi al domani si troverebbe a dover fare i conti con tabelle, incroci, poule retrocessione, poule promozione, ripescaggi, la sparizione della promozione diretta e amenità varie: il calcio funziona perchè è semplice, questo va tenuto ben presente. Meno semplici sono i discorsi economico-finanziari e su questo Ghirelli ha piena ragione nel chiedere continuamente una riforma che sia a livello di sistema: del resto le mutualità sono due terzi del bilancio della terza serie, che deve sbrogliare la matassa dei diritti tv in tempi non lunghi e trovare altre fonti di ricavi. Le risorse sono quelle che sono per la Lega, che internamente deve fare i conti con le necessità economiche delle singole società e, di conseguenza, deve aumentare il proprio indotto: addio al nuovo format, ma si deve arrivare a un cambio radicale in tempi non troppo lunghi. I tempi del puro mecenatismo dovrebbero essere passati da un pezzo: la strada non era quella intrapresa fino a ieri, ma le scorre parallela.

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