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Parla l’architetto Giulio Ceppi: «Fatto un miracolo, ma il “Rigamonti-Ceppi” va ripensato. Senza sprechi»

Il famoso architetto lecchese, la cui famiglia è legata a doppio filo con i colori blucelesti, si è occupato della redazione del piano di adeguamento messo a terra in questi mesi molto intensi

Giulio Ceppi BONACINA/LCN SPORT
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Tempo di lettura 6 minuti

Ceppi è il cognome che meglio si sposa con il Lecco. Cognome legato a doppio filo con il bluceleste: Eugenio Ceppi è stato il primo a indossarne la maglia, Mario Ceppi è stato il Presidentissimo negli anni d’oro della Serie A, Giulio Ceppi ha redatto il progetto per adeguare lo stadio e renderlo utilizzabile anche in occasione delle gare di Serie B. «Un miracolo», lo definisce l’architetto di fama internazionale, ma anche un punto di partenza per ridare nuova vita all’ultracentenario impianto di via Don Pozzi: aprirlo alla città sette giorni su sette e riempirlo di servizi, andando oltre i semplici interventi a macchia di leopardo che sarebbero garantiti dai soldi pubblici. L’intervista concessa a LCN Sport ha lo scopo di fare il punto della situazione, con gli ultimi lavori di ampliamento alla Curva Sud che chiuderanno una partita iniziata in estate, buttando l’occhio sul lungo periodo.

Giulio Ceppi a LCN Sport: «Pensiamo al nuovo “Rigamonti-Ceppi”»

Architetto, in estate avete fatto un miracolo:
«Indubbiamente sì. Abbiamo lavorato ed è un plurale, perché è stato un lavoro davvero di squadra, con tutti i fornitori, con gli ingegneri, con i tecnici e da un lato col Comune per realizzare, come detto, un miracolo perché lo stadio aveva bisogno e ha bisogno di una serie di adeguamenti. E adesso sono quelli legati al completamento e all’ampliamento della Curva Sud. Ecco, arriviamo di sicuro a un buon punto di tutto ciò che si poteva fare. Ci sono ancora tante deroghe attive, quindi vuol dire che ci sono ancora un po di pezze e un po di questioni da aggiustare. Sperando che il Lecco, anzi ne siamo certi, resti in Serie B avremo anche il tempo di fare queste ultime migliorie, che sono questioni tecniche legate al passaggio di categoria».

Ti è stato affidata la redazione di uno studio di fattibilità:
«Si porta dietro i suoi cent’anni, è funzionale ma ha bisogno di più che un adeguamento. Sì, se diciamo che facendo un esercizio dobbiamo guardare lo stadio non solo da dentro il fuori, ma anche da fuori verso il dentro. Dobbiamo guardare lo stadio come un oggetto che appartiene alla città e non solo come un luogo dove si gioca il calcio. C’è ancora da fare e di sicuro questa vicenda può renderlo più agibile e più accessibile, perché la Serie B richiede anche tutta una serie di migliorìe che non sono da poco e tanto è stato fatto anche da parte del calcio. È stato fatto un investimento importante, però lo stadio è un oggetto urbano. Noi adesso dobbiamo aprire lo stadio alla città, cioè dobbiamo rendere il famoso stadio all’inglese, come viene definito, davvero una parte della città. Non può essere che abbiamo quattro muri intorno, dobbiamo portare dentro dei nuovi servizi e le nuove attività, metter su una palestra, metterci dei bar, metterci dei ristoranti, metterci delle attività commerciali. Come in tutti gli stadi che si rispettino non ci sono solo delle infrastrutture che si accendono e si spengono quando c’è la partita. Ci sono degli spazi di città che si restituiscono anche durante la settimana dando dei servizi ai cittadini. Quella è anche una zona molto residenziale, è una zona con tanti ragazzi delle scuole che transitano da lì vicino, quindi anche per una questione di redditività, perché è uno stadio che può stare in piedi solo vendendo biglietti, deve avere dei servizi che rendano lo stadio più sostenibile sul piano economico. C’è un progetto che va attuato da qui ai prossimi anni in cui, come è stato fatto a Bergamo o in altri stadi che conosciamo, piano piano, magari settore per settore. Quello che è uno stadio bello, ma obsoleto tecnicamente, viene piano piano reintegrato con delle strutture nuove inserite in una logica diversa. C’è la logica di farlo diventare uno spazio che poi non serve solo al calcio, perché magari ci si pssono fare dei concerti, degli spettacoli anche perché abbiamo un teatro chiuso da cinque-sei anni e non abbiamo cinema. È uno spazio che deve diventare una parte importante della città, senza togliere niente al calcio. Anzi, visto che si useranno forse i soldi dei contribuenti, magari non tutti sono degli sfegatati fan del Lecco. Se lo stadio diventasse di tutti sarebbe molto importante».

In comune di un possibile stanziamento di 685mila euro per progetti a breve termine:
«Bisogna guardare, a questo punto, a un progetto un po’ più organico e anche ottimistico, in cui Lecco possa restare in Serie B e, perché no, magari anche andare in una divisione più importante senza mettere limiti alla provvidenza. Ecco, davvero lo stadio va riqualificato in una maniera più profonda e più intelligente non solo guardando solamente a com’è oggi, ma anche a come sta diventando il gioco del calcio, a come sta cambiando e a cos’ha bisogno la città. Alla fine il proprietario dello stadio è del Comune di Lecco ed è stato gestito in concessione dalla Calcio Lecco mettendo soldi importanti per l’adeguamento, però dobbiamo andare oltre, rendendo un gioiello urbanistico anche un oggetto accessibile e più praticabile per tutta la città. E questo richiede del tempo. È un progetto che adesso è nel cassetto, però io invito a non sprecare soldi guardando ciò che c’è davanti alla punta del naso, ma facendo un ragionamento un po’ più strutturato nel tempo e anche più ambizioso prendendo spunto da Bergamo o altrove. Non stiamo parlando di utopia, perchè spostare lo stadio da lì non sarebbe semplice per vari motivi legati alle normative e alla conformazione della città. Non mi sembrerebbe una soluzione intelligente. Abbiamo fatto quello che serviva per far giocare bene il Lecco. Abbiamo portato la capienza oltre 5.000 posti e si può lavorare per arrivare anche a 10.000 posti, però va fatto con gradualità e con un progetto, non prendendo soldi a caso e buttando lì alcune cose che magari non sono neanche sbagliate ma che sul lungo periodo rappresenterebbero uno spreco di soldi dei contribuenti».

Ai tifosi piace sognare…
«Oltre a quello che ho detto prima, c’è bisogno di una grande copertura perchè non ha senso che una tribuna sia coperta e tre lati dello stadio non lo siano. Un tetto ha anche una funzione energetica: ok la cabina per l’elettricità, ma in architettura i tetti si pensano smart e da lì si può produrre autonomamente data la bellissima esposizione dello stadio. Si risolverebbe anche il problema legato all’impatto acustico: bello uno stadio all’inglese in centro città, ma oltre al comfort dei tifosi va rispettato anche quello di chi abita lì intorno. E questo diventa, secondo me, è un elemento che lo armonizzerebbe dal punto di vista della logica dell’essere anche stato costruito in momenti e fasi diverse. Va fatto un lavoro di cucitura dei frammenti, il risultato di un processo che nel tempo ha dovuto avere minori ampliamenti, ma che ha bisogno adesso di un’unitarietà e di un’integrazione migliore sia dentro lo stadio che verso l’esterno. Bisogna lavorare in questa duplice direzione».

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