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La tempesta perfetta

Dal calciomercato alla fuga dai tifosi dopo l’umiliazione patita nel Derby del Lario: piazza e squadra sono ormai scollate, la lecchesità è un lontano ricordo

Il Lecco verso la Curva Nord: nessun confronto, solo battibecchi BONACINA/LCN SPORT
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Goldaniga, Bellemo, Abildgaard. Questi i cognomi scritti sulle maglie dei giocatori del Como che ha stravinto a Lecco. Inutile dire che il successo largo è stato strameritato, ma va sottolineato che la chiara impressione è stata quella di aver avuto a che fare con una squadra che si è tenuta pure più di qualcosa nel taschino. Era un derby, è stata una banalissima partita tra ultima in classifica e potenziale seconda della graduatoria: delusione cocente per tutti i blucelesti accorsi allo stadio o rimasti – volenti o nolenti – di fronte agli schermi. Il “2” era il segno più scontato per il classico Davide contro Golia, ma stavolta la fionda è rimasta proprio a casa: al “Sinigaglia” non era stato così, anzi si erano visti dei valori molto simili in campo e i blucelesti avrebbero meritato la vittoria ai punti per le palle gol prodotte. I tifosi lecchesi non pretendevano la vittoria, ma di vedere una squadra in grado di sputare sangue dal primo all’ultimo minuto per chiudere un divario tecnico stimato di 25-30 milioni di euro. È andata male, malissimo: squadra molle e arrendevole – si salvano in pochissimi -, sempre in ritardo sulle seconde palle e incapace di marcare decentemente sulle palle inattive nonostante il cambio di sistema, dalla zona alla basilare difesa a uomo. Metteteci pure che le uniche due palle gol sono state cestinate da Novakovich a ridosso della porta di Semper e la frittata è fatta.

C’era una volta la lecchesità

Dopo la vittoria in rimonta sul Parma eravamo stati – anche a rileggerci oggi – buoni profeti: per realizzare l’impresa salvezza, il Lecco può (poteva?) fare affidamento solamente su quella schiera di armi che negli ultimi anni sono riassunte all’interno del termine lecchesità; cattiveria, aggressività, corsa, pressing, ma soprattutto orgoglio e attaccamento alla maglia: il popolo bluceleste si riconosce nelle sue squadre solamente quando queste cose vengono scaricate sul campo, la spinta emotiva viene di conseguenza. Tra una vittoria di qua e una batosta di là, si stava riuscendo anche a mettersi alle spalle la sciaguratissima Lecco-Ternana con i quattro punti accumulati tra Venezia e Sudtirol: zona salvezza a Santo Stefano, rivoluzione della squadra fortunatamente scongiurata. No, anzi, perché la tempesta perfetta (per gli altri però) si è abbattuta a fine gennaio dopo la bellezza di un mese senza lo straccio di un punto e una marea di gol incassati. La proprietà ha avallato le ventinove operazioni di mercato: via leader come Battistini e Giudici – con Galli trattenuto in extremis per diktat presidenziale -, in grado di trasferire il senso di appartenenza, per puntare su giocatori di nome e in teorica ricerca di riscatto. Peccato che, almeno per ora, qui di riscatto se ne sia vista l’ombra giusto pochi giorni fa sul campo della Ternana, ma che per il resto si parli di un encefalogramma quasi piatto. Nella mattinata Fracchiolla è stato a Cormano per confrontarsi con la proprietà dopo dieci giorni di “ferie forzate” e nel pomeriggio parlerà a quella squadra che lui ha voluto ribaltare da capo a piedi: senta tutto il peso di decisioni che – almeno a oggi – hanno avuto l’effetto di scollare squadra e piazza.

“Lecchesi” è stato il tema della bella coreografia ammirata martedì sera: semplice ma di grande impatto visivo, una manifestazione di orgoglio che dentro il campo non è stata recepita. Anzi, a fine gara la triste delegazione bluceleste ha tirato dritta verso gli spogliatoi e qualcuno ha risposto ai tifosi che stavano riversando verso il campo la rabbia per la pochezza mostrata sul terreno di gioco del glorioso stadio “Rigamonti-Ceppi”, stesse coordinate dove sono state disputate tre stagioni di Serie A come ricorda lo striscione appeso in fondo alle scale. A Bolzano saranno tutti attesi al varco, se conosciamo una piazza che determinate cose le fa pesare ai protagonisti in questione: c’è ancora un minimo di tempo per farsi perdonare e provare a realizzare un’impresa, ma in primis bisogna comportarsi da uomini sul campo.

Il dimenticato Josè Maria La Cagnina

C’è stato zero di lecchese anche nel mancato ricordo di Josè Maria La Cagnina, che avrà pur fatto parte della storia passata nelle categorie inferiori ma era ricordato con grande affetto a queste latitudini per lo spirito battagliero sempre messo in campo. Solo i tifosi hanno avuto un pensiero per l’eroe di Nuoro, là dove segnò un gol pesantissimo nella rincorsa alla Serie C1. Di lecchese, alla fine, c’è stato solo il contorno di una banalissima partita tra l’ultima in classifica e la potenziale seconda, finita con il dimesso Davide miseramente schiacciato dal potente Golia: che pochezza.

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