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“Protocollo ripresa” fuori da ogni logica per la Serie C: migliaia di euro per un finale tutto da scrivere

La proposta formulata dalla commissione medica e condivisa dalla Figc è lontana dalla realtà della terza serie, che si troverebbe ad affrontare ingenti spese non previste senza la certezza di terminare la stagione

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Il proprio pensiero, in certi casi, va espresso subito: il “protocollo ripresa” non ha nessun senso d’essere applicato in Serie C. E il motivo è molto semplice da comprendere: i costi. Dalla fine di febbraio i club di terza serie hanno dovuto pagare stipendi e contributi, vale solo per chi l’ha fatto chiaramente, oltre a onorare spese vive varie, ma gli incassi sono stati ridotti al lumicino, se non azzerati del tutto. Quella del botteghino, per citare il caso più eclatante, è una voce di bilancio destinata a non muoversi per lungo tempo, tenendo conto del fatto che la misura delle porte chiuse dovrebbe essere applicata almeno fino a quando il rischio di contrarre il Coronavirus sarà così elevato. A Lecco il patrimonio disperso è di circa seicento paganti a partita: non una cifrona, ma certamente un numero sostanzioso in un contesto come quello del girone “A” di Serie C.

Potremmo poi toccare il tasto delle valorizzazioni dei giocatori Under 23, su cui alcune società hanno costruito interi budget, meccanismo bloccatosi alle soglie dell’assegnazione della suddivisione della quarta tranche. Due tematiche tra le tante che stanno intaccando un sistema già abbastanza precario come quello della Serie C, che nella stagione 2019/2020 sembrava, però, aver iniziato a respirare un’aria più buona già dal “salto” del consueto caos-iscrizioni. Già il solo stop costerà fino a 84 milioni di euro, ma aggiungere spese nell’ordine delle decine di migliaia di euro metterebbe ancor più in crisi le società.

La Commissione riunitasi mercoledì, infatti, ha raccomandato lo svolgimento di un ritiro chiuso nella prima fase di ripresa degli allenamenti: significherebbe trovare e affittare strutture alberghiere (e nella gran parte dei casi anche sportive) adeguate, oggi chiuse al pubblico, con un conseguente dispendio straordinario di forza economica. Questo senza parlare dell’obbligo di effettuare il doveroso screening di tutto il gruppo squadra, cinquanta persone malcontate per quello che riguarderebbe la delegazione lecchese: tutti svolgerebbero il test molecolare rapido, il test sierologico, un’anamnesi accurata, una visita clinica (valutazione degli eventuali sintomi e misurazione della temperatura corporea), esami strumentali e del sangue. Tutte spese straordinarie e, per giunta, da sostenere immediatamente.

Vista da qui, una proposta irricevibile dal calcio di terza serie, che continua a chiedere interruzione dei campionati, come avvenuto in praticamente tutte le altre discipline in Italia, e possibilità di accedere alla cassa integrazione in deroga per onorare i contratti dei giocatori che hanno contratti inferiori ai cinquantamila mila euro lordi annui. Anche perché riprendere a giugno non significherebbe finire i campionati con assoluta certezza: un potenziale ripresentarsi del problema sanitario in tutta la sua forza, se non peggiore, è sempre dietro l’angolo.

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