Troppe occasioni perdute. Troppi mezzi passi falsi. Il bicchiere resta mezzo pieno, certo, ma resta anche la sensazione che il Lecco avrebbe potuto e dovuto fare di più. Intendiamoci: manca ancora così tanto alla fine del torneo, che tutto può succedere, ma sottovalutare i tanti indizi convergenti e concordanti, sarebbe sbagliato. Il Lecco è una squadra che sta ancora cercando la sua maturazione. Sembra essere sempre sul punto di fare il salto di qualità, mentalmente, ma poi si sgonfia. Guarda caso lo fa nelle partite non di cartello, in quelle dove è più facile deconcentrarsi, lasciarsi andare. Lo fa, soprattutto, quando davanti a sé ha una squadra che gioca a calci più che a calcio. È, insomma, vittima della sua stessa qualità migliore: la gioventù.
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Bomber Castagna ha tuonato dalla sala stampa, domenica: “I miei compagni più giovani non ascoltano i più vecchi, si fanno coinvolgere in stupide discussioni in campo, non mettono giù la testa e “ruzzano” come dovrebbero”. Un’accusa piena di buon senso e di verità. I vari Chessa, Mignanelli, Aldegani, Nicola Rota, ma per certi versi anche Frigerio e Sarao, li abbiamo visti impegnati in discussioni sterili più che nel cercare la porta avversaria. Ci sta, il nervosismo è di tutti in certe partite, ma questo è il limite del Lecco: non saper ancora essere forte mentalmente. Dal punto di vista del gioco i passaggi a vuoto ci possono essere, e a Montichiari si sono visti. Ma dal punto di vista mentale una squadra come il Lecco non può sempre deprimersi per poi esaltarsi. Non può subire, per reagire. Se ha le forze per imporsi come sempre accade nel secondo tempo, dovrebbe averle anche per entrare in campo e spaccare tutto dal primo minuto.
E veniamo, però, anche al discorso tecnico-tattico. Fiorenzo Roncari, allenatore bluceleste, comincia a non piacere a qualcuno perché le sue scelte, a volte, sono inizialmente erronee. Come a Montichiari quando, contro il 3-5-2 haschierato un 4-3-1-2 che perdeva sistematicamente il centrocampo. Ma non siamo d’accordo su chi critica l’allenatore varesino. Sia perché ha l’umiltà di cambiare in corsa (come ha fatto a Montichiari e in altre gare), sia perché la sua qualità migliore è e resta quella di aver saputo formare, in condizioni che permangono difficilissime, un gruppo davvero coeso e unito. In serie D questo conta più delle abilità tattiche. E, comunque, dal punto di vista tattico Roncari non è certo uno sprovveduto. A volte tentenna un po’ troppo, a volte si fa prendere da troppi dubbi e altre si fida troppo dei suoi uomini migliori. Ma, detto questo, va sostenuto perché è colui il quale finora ha tenuto a galla il Lecco. Anche contro la fronda interna sempre più evidente. E non ci riferiamo allo spogliatoio ma ai dirigenti che lo circondano, che non fanno nulla per dimostrargli il loro affetto e attaccamento. Non lo contrastano apertamente, questo sì, ma ci vorrebbe qualcuno che, ogni tanto, dicesse alla stampa e ai tifosi, questo allenatore è bravo e ci sta dando una grossa mano. Solo il diesse Raineri è accanto al mister. E anche di questo bisogna tenere conto, nella valutazione del suo operato.
Per il resto ora bisogna trovare una mentalità di squadra più salda e matura. I giovani, benedetti loro per l’entusiasmo che hanno, devono seguire gli esperti. E, anche se manca un leader in campo, devono capire che il calcio è davvero uno sport di squadra. Tutti per uno e uno per tutti. I personalismi, i piccoli isterismi, lasciamoli agli avversari. Avanti Lecco. Sabato c’è uno scontro da vincere a tutti i costi.