Circa tre giorni dopo, ad Adrian Benedyczak stringeremmo solo la mano. L’attaccante polacco del Parma, che tra l’altro si è fatto male e non è andato in Nazionale, ha fatto un grande favore: ha trasformato i tipici mugugni che fanno seguito a un gol subito in una reazione rabbiosa, partita dagli spalti e idealmente veicolata da Lepore sul terreno di gioco. Il resto è storia nota. Cose che un giocatore non dovrebbe mai fare, quelle, soprattutto dove fame, orgoglio e appartenenza non sono parole buttate nel vuoto ma valori che si toccano con mano. Sono il manifesto di una piazza che ha ritrovato la Serie B a cinquant’anni di distanza, l’ha difesa nei tribunali e vuole tenersela stretta sul campo. Ma da un certo punto di vista capiamo la reazione di pancia, visto che per un mese abbondante il Lecco è stato dipinto come una squadra di scappati di casa; c’è stato chi, addirittura, è andato a cercarsi il record di punti negativi accumulati in cadetteria: evitiamo l’affanno, parlando di girone unico a 20 squadre sono i 17 del Pescara 1981-82 – era dei due punti – e i 18 del Pordenone 2021-22. Poi sono arrivate Pisa, Palermo, Reggiana, Spezia e Parma, quattro delle quali delle quali con un monte ingaggi nemmeno paragonabile a quello bluceleste: 11 punti, uno in fila all’altro, per l’irreale media di 2,2 punti a partita. Gap delle prime sei giornate recuperato e pure zona salvezza messa nel mirino.
Lecco, un popolo in missione
Giustamente vivremo due settimane un po’ sulle nuvole: del resto chi si sarebbe mai aspettato un percorso del genere dopo una partenza così in salita? La coppia Bonazzoli–Malgrati, meno strana di quello che potrebbe sembrare ai più, ha dato alla squadra temi tattici e, soprattutto, tante responsabilità in mano: «Siate padroni del vostro destino, date l’anima e fatevi voler bene dalla gente», ci piace immaginarla così la ricetta attualizzata che dall’autunno del 2022 ci sta regalando gioia e sorprese. Li chiamano miracoli, ma nello sport devi essere abbastanza bravo da riuscire a mettere le basi per rendere la causalità un fattore decisivo. Il Lecco si è ricompattato e si è portato appresso una tifoseria che ha saputo prendersi gli apprezzamenti di tutta Italia per quanto ha fatto sugli spalti: siamo stati il piccolo-grande cortocircuito di questo autunno, il Davide del fondoclassifica che ha battuto i Golia dei piani alti e tra l’altro ha espresso anche livelli di calcio notevoli. E se il Lecco sarà questo, la fiera gente che lo circonda continuerà a spingerlo con fame, orgoglio e appartenenza, un boost di energia nelle gambe che soprattutto negli ultimi 180′ ha spiegato cosa voglia essere il dodicesimo uomo in campo. Tutti in piedi a cantare e ruggire, curvaioli e non: qui per la borghesia non c’è spazio.
Godiamocela ancora un po’, ma sta arrivando rapidamente il tempo per riattaccare la spina e guardare in faccia la realtà: è come se avessimo disputato un primo tempo disastroso, fossimo andati sotto 0-3 e nella ripresa avessimo trovato la forza per chiuderla sul 3-3 con ancora qualcosa da spendere. La classifica dice zona playout con Cremonese e Como, il derby di più alto livello degli ultimi 50 e rotti anni, come prossimi capitoli: per salutare le dirette concorrenti nei prossimi 180′ ci sarà da spremere ancora un limone che si è arricchito di elementi ultimamente rimasti ai margini. Con la capolista abbiamo rivisto in campo dal primo minuto Lemmens, Marrone e Degli Innocenti, il che permetterà di dare un po’ di profondità a una rosa che ritroverà anche il fantasista Crociata. Sette partite, poi arriverà anche il mercato e lì bisogna mettere in campo le parole spese in questi giorni: il patron Di Nunno ha parlato di quattro acquisti da fare, lui stesso si è reso conto che quello della Serie B è un mondo da tenersi strettissimo. E che in primavera il margine d’errore rischia di arrivare ai limiti dell’inesistente.
La strada rimane in salita, dura come quelle che siamo abituati ad affrontare sulle montagne di casa nostra. Quella appresa su quelle strette e ripide linee fatte di terra, roccia e radici è la mentalità che ci deve contraddistinguere: testa alta, sguardo in profondità, sudore, gambe forti e denti stretti, così da riuscire a mettere nel mirino la meta verso la fine di un campionato ancora ai limiti dell’infinito. Un popolo in missione, anche senza il Benedyczak di turno a buttare benzina sul fuoco fino a farlo diventare incendio.