Auguri Lecco. Oggi compi cento anni e festeggiare questo compleanno prestigioso nell’anno in cui su Lecco si è abbattuto l’uragano Cala, è ancora più bello. La gente di Lecco, e per una volta anche qualche politico e imprenditore, ha dimostrato di poter risorgere dopo qualsiasi catastrofe. I danni, in verità, li stiamo ancora pagando, ma la ricostruzione procede a gonfie vele ed è dunque con immenso piacere che questa sera anche io, insieme a centinaia di tifosi e addetti ai lavori potrò gridare alla Camera di Commercio “Forza Lecco”.
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Una festa che la storia dei veri lecchesi, ovvero dei blucelesti, merita e che non è magniloquente paragonare ai centenari di squadre più blasonate. Anche il Lecco ha lasciato e lascerà una traccia del suo passaggio nella lunga storia del calcio.
L’unica cosa che, però, ci rende un po’ meno contenti del dovuto è il risultato di ieri. Una partita scialba e senza squilli di tromba quella giocata a Darfo. È vero che i bresciani avevano cambiato tutto: il portiere non era più Pansera, l’allenatore era il nostro ex Giuliano Melosi, l’attaccante il recuperato e glorioso Beretta, però resta il fatto che contro un’altra “piccola” del torneo il Lecco ha perso due punti. E fanno otto se si contano le dèbacle contro Mapello e Castellana. Tra le grandi solamente Pergolettese e Voghera sono riuscite a togliere punti al Lecco ma l’hanno fatto quando il Lecco praticamente era un cantiere aperto dove tutti potevano entrare e uscire a piacimento. Ora, probabilmente, avrebbero grosse difficoltà a fare bene contro i blucelesti.
Ma torniano alla gara giocata nella patria delle terme, dove il fegato diventa centenario. Al di là di una città presa d’assalto da orde di pensionati e anziani, per le note cure termali, anche il Lecco è apparso vecchio e stanco. Appannato. Come se avesse perso lo smalto della prima parte del torneo. Sarà solamente una sensazione e nulla più, però non è piaciuto vedere un’involuzione tale nel gioco bluceleste. Parliamoci chiaro: se il Darfo avesse segnato il gol fantasma che Beretta, forse, ha messo in rete, staremmo qui a parlare di una sconfitta e non di un deludente pareggio. E di tiri in porta con i crismi della pericolosità, pur con tutta la buona volontà, ne possiamo contare uno per tempo: di Nicola Rota (la traversa di testa) e di Chessa (palla a lato di un soffio) nella ripresa.
Si tratta del tanto sbandierato “mal di trasferta”? Non lo sappiamo. Però è certo che questa squadra si trasformi in casa più di quanto non sappia fare lontano dal Rigamonti-Ceppi. Delle due l’una: o il Lecco “vero” è quello in casa, o è quello in trasferta. La via di mezzo è difficile da trovare, almeno per ora. Perché sono due squadre, quella bluceleste che gioca tra le mura amiche e quella che gioca lontano da esse, troppo diverse. Ci piace pensare che il Lecco “vero” sia, dunque, quello che esalta i tifosi in casa. Ma urge ritrovarlo anche in trasferta dove mancano, probabilmente, più che gli stimoli, la convinzione di essere squadra vera. In questo senso il Lecco è ancora immaturo: ha in sé i semi per sbocciare, per diventare un meraviglioso cigno, ma è talmente timido che quando non si sente protetto dal suo ambiente, dal calore della sua gente (pur numerosissima anche in trasferta), dai suoi punti di riferimento, dal suo lago, un po’ si perde. Si convincano, Chessa&C. di essere forti. Lo sono, punto. Ma devono imparare a convincersene e a praticare questa forza contro tutto e contro tutti. Non solo a corrente alternata. I nuovi acquisti? Hanno esordito. Per ora basta questo. Per giudicare Sarao e Aldegani ci vuole tempo.
